In carcere si mangiano solo fave e piselli, ma lui è intollerante. Scarcerato
E’ affetto da favismo e così il Tribunale di sorveglianza de L’Aquila lo manda agli arresti domiciliari. Protagonista della vicenda è Michele Aiello, condannato per associazione mafiosa e vicino al boss dei boss Bernardo Provenzano. Ma cambiare regime alimentare? No?
Pasta e fagioli, seppie coi piselli, fave e pancetta. Dovevano essere, più o meno, queste le portate principali del carcere di Sulmona. Almeno a leggere la sentenza che ha portato alla scarcerazione di un detenuto della casa di reclusione di massima sicurezza in provincia de L'Aquila: “Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti”. Insomma, un disturbo alimentare ha ricondotto a casa – agli arresti domiciliari, si intende- un uomo condannato a 15 anni e 6 mesi di detenzione.
E già, perché Michele Aiello non è un semplice ladruncolo. 58 anni, ingegnere ed imprenditore ,quando era al massimo della sua fortuna economica gli avevano affibbiato il soprannome di “re Mida della sanità siciliana”. Condannato per associazione mafiosa, corruzione e svariati altri reati, vicino al boss dei boss, Bernardo Provenzano, gli è stato confiscato un patrimonio del valore di 800 milioni tra cliniche, società, case, terreni e contanti. Ma Aiello soffre di “favismo”, una malattia ereditaria a rischio di grave crisi di anemia se che ne soffre mangia delle fave. E così il tribunale di sorveglianza dell'Aquila ha concesso all'uomo la detenzione domiciliare per un anno, a seguito di una dieta carceraria che lo esporrebbe “a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche”.
Ma al di là della decisione dei giudici, il fatto sorprendente è un altro. E cioè che nel carcere di Sulmona il menù sia fisso, si mangino sempre e solo fagioli e fave. Eppure il codice penitenziario (capo II, comma 9) recita chiaramente che «ai detenuti e agli internauti è assicurata un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima». E ci può anche stare che il carcere di Sulmona sia uno dei casi italiani in cui il regime alimentare dei carcerati non sia proprio rispettato. Ma è difficile credere che la situazione sia la stessa anche nelle restanti 230 prigioni italiane. Dunque, invece, di mandare a casa un uomo che deve a Cosa Nostra la sua grande fortuna economica, perché non farlo ospitare in una di queste galere?
Nessun commento:
Posta un commento